antologia critica

Gaetano Kanizsa pittore e psicologo

Guido Petter

Conservo un ricordo molto vivo del tempo in cui, prima come studente che stava preparando la sua tesi di laurea in psicologia, e poi come giovane laureato, frequentavo l’Istituto di Psicologia dell’Università Statale di Milano […]. Kanizsa si occupava parecchio di noi frequentanti, guidandoci in esercitazioni per le quali preparava il materiale. […] E al tempo degli incontri, nel tardo pomeriggio, quando veniva il momento di lasciare l’Istituto, egli aveva l’abitudine di tracciare sulla lavagna, con dei gessetti colorati, delle forme astratte, che poi contemplava facendo due passi indietro e arricchiva con aggiunte suggerite da quel primo giudizio, arretrando poi nuovamente e aggiungendo altri particolari. La figura si costruiva così, poco per volta, sulla lavagna […]

E’ un peccato che non sia rimasto nulla di quelle produzioni grafiche, che avevano certo un carattere ludico, ma erano anche la prima testimonianza di un’inclinazione alla pittura che gli covava dentro e che molti anni dopo (anche per la sollecitazione di un pittore come Augusto Garau, interessato alle tematiche  della percezione visiva, che io gli avevo fatto conoscere e che era diventato suo amico) si venne manifestando attraverso  una produzione via via più ricca e assai originale. Ed erano pure la testimonianza di un modo di procedere nella produzione grafica che si venne poi dispiegando e consolidando nella sua pittura. Nell’elaborazione dei suoi quadri Kanizsa utilizza infatti essenzialmente la tecnica della costruzione progressiva di una struttura a partire dai primi elementi disposti sulla tela bianca con piccoli colpi di pennello.  E’ poi la parte già realizzata che, sulla base di un giudizio periodicamente espresso (una tipica forma di quel ‘pensiero terziario’ in cui la fantasia creativa e la razionalità intesa come giudizio di coerenza e insieme di originalità si combinano armonicamente) suggerisce di volta in volta come continuare.  […] La sua ricerca compositiva ha veduto periodi diversi: dalle prime forme visive che occupavano tutta la tela e richiamavano vagamente dei paesaggi , ad altre che si collocavano invece al centro della tela ed evocavano animali strani, bizzarri, alle forme ovoidali, a quelle ch suscitano l’idea di finissimi, incantevoli arabeschi.

L’interesse per le strutture visive si manifestava, parallelamente, nella ricerca, sia teorica che sperimentale, compiuta nel campo della psicologia della percezione.


da catalogo della mostra Continuo texturale, Centro culturale Superficie anomala, Milano, 2001

Gaetano Kanizsa pittore

Federica Luser

È fuori da ogni dubbio che vi sia un rapporto diretto tra il Kanizsa scienziato e il Kanizsa pittore. 

A partire dagli anni Sessanta fino al 1993, anno della sua morte, egli dedicò parte del suo tempo al dipingere. Uno svago, sostiene la figlia Silvia nella prefazione del bel catalogo dal titolo Moltitudine di impronte dedicatogli nel 2002, qualcosa di più aggiungerei, perché con le sue opere ha sentito la necessità di dare spazio non solo a una pratica tecnico-linguistica, ma anche a quella espressivo-evocativa tipica del fare “arte”, mettendosi in gioco in alcune esposizioni anche di altissimo livello come la Biennale di Venezia del 1986 dedicata dal curatore Maurizio Calvesi al rapporto tra Arte e Scienza.

Kanizsa stesso, nell’Autopresentazione alla IX Biennale d’Arte di San Marino in Lupari, in provincia di Padova, tiene a sottolineare: “Per me, come per i pittori che, per gli interessi che li caratterizzano, si possono chiamare “percettuali”, diventa focale l’interesse per il “vedere” e la sua grammatica e quindi per l’esplorazione delle regole percettive che stanno alla base del sottile e problematico rapporto tra operatore e osservatore.”

E proprio la necessità di un’arte che includesse in sé l’obiettività scientifica e la volontà di interagire con il sociale, nel senso di una maggiore interazione arte-fruitore, sta alla base della nascita dell’arte cinetica e programmatica che si sviluppò dalla fine degli anni Cinquanta in Europa.

Come scrive Virginia Baradel: “Gli artisti e i gruppi che abbracciarono l’arte programmata e cinetica al principio degli anni ‘60 intesero avviare una stretta correspondance tra arte e scienza. Essi concepirono l’arte “scientificamente” e la scienza della percezione visiva come un territorio dove sviluppare un’alleanza creativa.”

Kanizsa non entrò mai in alcun gruppo di lavoro sul fronte artistico, anzi la sua opera conservò sempre spunti genuinamente autonomi, ma la vicinanza con quelle idee è evidente: la sua amicizia con Augusto Garau, artista con cui condivide il medesimo amore per l’arte, intesa come ricerca delle regole percettive che istituiscono la nascita della visione e con Manfredo Massironi, professore universitario di psicologia generale, attivamente impegnato nel mondo artistico con il Gruppo N di Padova, è determinante nella scelta del suo modo di operare in pittura.

Massironi e il Gruppo N si definivano “operatori cinetico visuali”, affermavano il valore del lavoro collettivo, sostenendo che ciò che importa non è il fattore soggettivo dell’artista, le sue emozioni e la sua personalità psicologica, né tanto meno la forma esteriore dell’oggetto o l’insieme degli oggetti indagati, ma il progetto che sottende alla creazione dell’opera e la sua messa in relazione con la realtà attraverso la compartecipazione dello spettatore, che da semplice fruitore diventa parte integrante dell’opera.

Pensiero condiviso da Gaetano Kanizsa che nel suo operare parte proprio dal rapporto tra il dipinto e l’osservatore, privilegiando “le ragioni dell’occhio” rispetto a qualsiasi altro organo di senso.

Nei suoi cicli pittorici, quasi esclusivamente in bianco e nero, sperimenta una tecnica molto particolare basata sull’accostamento di piccole taches di colore – che chiama impronte – ottenute dalla pressione della punta del pennello sulla tela. Da un primo nucleo germinativo, che Kanizsa osserva da distanza, l’opera evolve fino a raggiungere il giusto equilibrio della forma, costruita dalla perfetta corrispondenza dei colpi di pennello che seguono l’intrinseco spiegamento delle linee di forza sulla tela. Come scrive egli stesso, l’opera prende forma da sé e soprattutto raggiunge una sua connotazione oggettiva solo nell’immaginario dello spettatore che traduce i segni in qualcosa di conosciuto attraverso la propria esperienza, mentre per l’artista-scienziato rimangono configurazioni di segni che danno origine a superfici diverse, tessiture in cui i rapporti tra pieni e vuoti e le gradazioni cromatiche nel loro ritmo ciclico creano un dinamismo in continua evoluzione. Niente titoli, infatti, solo qualche breve indicazione di massima apposta al retro della tela che definisce e differenzia i gruppi di opere: Bomboloide, Uovo, Tronco, Zootestura ecc. Definizioni che non vogliono essere determinanti, ma solo tracce di un fare pittura che si costruisce in uno spazio e in un tempo definiti ma passibili di mutamenti successivi.

Le “biotessiture” di Gaetano Kanizsa

Gillo Dorfles

Kanizsa, ormai da lunghi anni, tesse la sua solitaria tela senza badare alle mode e alle tendenze che si agitano intorno a lui; e proprio per questo riesce a dar vita ad una operazione artistica che non teme “concorrenza” e che, attraverso gli anni, rimane fedele a se stessa. Un’operazione che si avvale oltretutto di un preciso e inusuale accorgimento tecnico. Questo accorgimento consiste praticamente in una serie di minuscoli tocchi del pennello sulla tela, che obbligano l’artista a costruire le sue immagini non secondo una progettazione già predeterminata, ma mediante il continuo accrescimento di un nucleo iniziale che si viene man mano organicamente ampliando mediante successivi apporti di segni, di nuovi nuclei costruttivi. Il risultato finale, pertanto, conduce a una figura che si distingue per una inconfondibile qualità stilistica […] Questa unità stilistica ha il merito inoltre di permettere la moltiplicazione all’infinito delle opere, mantenendole rigorosamente omogenee e coerenti con il loro principio costruttivo, ma conferendo loro sempre nuove cariche evocative.[…] Il fatto stesso che uno scienziato come Kanizsa […] abbia trovato gratificante la composizione di questi dipinti e disegni, sta a provare come un elemento di azzardo possa spesso contare alla base di un’opera artistica che voglia essere genuina; e come possa valere più l’imprevisto che guida la mano dell’artista di quanto possano valere schemi precostituiti e meticolose progettazioni. […] credo che i lavori di un artista come Kanizsa, che è rimasto fedele al suo peculiare e particolarissimo universo espressivo, nonostante il bagaglio  di conoscenze scientifiche, psicologiche, erudite, che avrebbero potuto soffocarlo, sia un caso del tutto unico. 


(dal catalogo della mostra presso la Galleria Schubert, Milano, 1986 e pubblicato in Moltitudine di impronte. Gaetano Kanizsa, 2002)

Le qualità terziarie della sua arte

Luciano Caramel

[…] Scienza e arte sono per lui due cose diverse (anche se, inevitabilmente, non in comunicanti). E la diversità mi sembra consistere prima di tutto nell’intenzionalità espressiva, cioè nel privilegiamento, nell’arte, delle qualità “terziarie”. Quel che Kanizsa si propone di fare nelle sue pitture non è cioè un’indagine oggettiva sulla forma, un’analisi di rapporti, una ricerca sui loro effetti percettivi.

Né tantomeno, un enunciazione di leggi. E ciò non può non stimolare l’attenzione per le qualità terziarie della sua opera. 

Anche in Kanizsa, come in ogni artista, le scelte linguistiche non sono pienamente comprensibili in se stesse, in un assurdo isolamento “in vitro”, tanto più trattandosi di scelte linguistiche singolarmente originali a tutti i livelli: persino il mezzo impiegato, la punta del pennello ripetutamente pressata sulla tela, è inusitato, come il “ductus” del segno, proliferante attraverso una crescita organica e non preventivamente organizzata.


(da Interventi davanti alle opere di Gaetano Kanizsa, Milano, 1976 e pubblicato in Moltitudine di impronte. Gaetano Kanizsa, 2002)

Gaetano Kanizsa: l’icona che s’impone

Giovanni Anceschi

[…] tutta la tecnica gestuale si risolve per Kanizsa in una particolarissima maestria del tocco del pennello, e tutta la Gestalt e la percettologia vi si dispiega con la massima leggerezza nelle infinite sottigliezze della modulazione del campo. E l’artista Kanizsa senz’ombra di dubbio, preferisce giocare principalmente il primo ruolo (quello dell’infante che gioisce nel produrre tracce), e si pensi, ad esempio al fatto che risulta che i titoli delle opere non sono stati fissati dall’autore, o meglio sono stati in minima parte da lui conferiti. E che non sono mai titoli che completano l’opera. […] Al massimo è un battesimo indicale: non titoli ma nomi di comodo[…] Quando vediamo una delle Zootesture del 1975, vediamo il corpo di una bestia che avanza circospetta, ma non è facile dire se l’occhio è sbocciato verso l’alto a sinistra e le quattro zampe sottili si sono propagate verso il basso in una totale vacanza del pensiero o se sono stati fatti spuntare con intenzione.

Forse l’unica cosa che si può dire è che sono affiorati – per così dire – spontaneamente dal preconscio: sono nati da lui con l’indispensabile leggerezza. 

[…] Prima di tutto Kanizsa si rivela pittore soprattutto, anzi esclusivamente, figurativo: per lui l’immagine astratta è la repressione di una figura. In effetti, se si guarda bene, in lui l’esito astratto è tale quando – per così dire – si costringe a fermarsi, a interrompersi prima di produrla.

Se il processo ricorsivo si dipana senza freni Kanizsa arriva ad “animali”, “omenoni”, “anfibi e rettili”, o forse a “draghi cinesi”, “zootesture” o “paesaggi”, o ancora a “campi vsiivi visti dall’alto”. Se si ferma appena prima Kanizsa renderà visibili “bomboloidi”, “gallerie”, “tronchi”, “corrugazioni”, “composizioni”. Mentre il primo gruppo ad iconicità molto bassa sarà quelo dei cosiddetti “cesti”, “ovali” e “uova”, e delle “linee” e dei “fusi”. […]

Quello che comunque così s’impone è che ogni grado di verosimiglianza o di iconicità attinto dai diversi risultati della pratica paziente e ricorsiva di Kanizsa, anche il più schematico, è una poderosa miccia per un’esplosione incontenibile di fantasia figurativa.


(da catalogo Moltitudine di impronte. Gaetano Kanizsa, 2002)